Oggi è uno di quei giorni in cui non riesco a rassegnarmi. Non vedo mia madre da ottobre, non l’avevo vista da marzo a maggio e non le posso fare una carezza da marzo scorso.
Non so se e quando la rivedrò e soprattutto se e quando la abbraccerò. Forse solo quando starà per morire, da lì a poche ore, perchè mi verrà dato (e ne sarò comunque estremamente grata) il permesso) E’ in una Rsa, l’aveva scelta per sè quando ancora stava abbastanza bene e si trovava bene lì, per molti motivi che restano tutt’ora validi.

Ora non metto in dubbio la cura che riceve, forse anche qualcosa che assomiglia all’affetto – perchè gli operatori ne sanno offrire e spesso, molti di loro, lo offrono – ma è come se mi venisse chiesto di viverla come se fosse già morta o non fosse più affar mio. Ed è veramente difficile.
Lei è indementita, a volte spero lo sia al punto di non rendersi conto che non vede le sue figlie da mesi: dorme la maggior parte del tempo sulla sua carrozzina, mangia e nulla più. Mi dicono he a volte sorride e saluta e mi fa piacere… ma non lo fa a me e a mio sorella e questo mi lascia una malinconia, una gelosia, feroci.
La vedo una volta alla settimana in una video chiamata di cui apprezzo sempre lo sforzo in chi me la fa e nell’organizzazione che la incentiva, ma non è quello che mi tiene in relazione con lei o mi fa sentire di essere ancora figlia e una figlia che non aveva scelto di “abbandonare” la madre. So che non l’ho abbandonata, so che le danno il meglio, ma è davvero dura convincersene emotivamente.

Allora penso a tre cose:

una: Creare circoli virtuosi di cura ed etica della convivenza:
ci sono fasi storiche in cui puoi solo affidarti totalmente ad altri, sperare che coloro a cui ti affidi diano il meglio di sè e a tua volta dare il meglio con altri, che magari non possono altrimenti avere ciò di cui hanno bisogno: non dobbiamo essere affettuosi, dediti e gentili solo con chi è “nostro” parente e possiamo andare nella direzione di una catena etica e della cura reciproca dove possiamo far sì che chi si occupa di mia madre, ad esempio, dia il meglio con lei mentre io darò il meglio con il caro di qualcun altro che mi è stato affidato o che ha bisogno e l’economia della cura non verrà eccessivamente scalfita, le persone vivranno nel conforto di un affetto e non vivranno e non moriranno – se moriranno – sole e abbandonate (cosa che in parte già succede, in alcuni luoghi, grazie a chi ha scelto il lavoro di cura e lo porta avanti al meglio)

due: tornare ad usare la pianificazione delle cure e le scelte individuali relative al senso del vivere:
dobbiamo poter tornare a scelte per cui la sopravvivenza delle persone e la salvaguardia dei sistemi sanitari o delle residenze per anziani o disabili non siano in antitesi con la vita affettiva e biografica, con la dignità e il senso dell’esistenza, e si possa far scegliere agli anziani lucidi e ai parenti di anziani cognitivamente compromessi (secondo la legge, certo) come vogliono vivere la vita. Possiamo accettare qualche eventuale rischio di contagio (per altro mai azzerato anche senza la visita dei parenti) ma vivere nel conforto di affetti e relazioni certamente significative o vogliamo che conservino la salute e la vita biologica ma restando spesso vittime di rabbia o depressione?
Abbiamo una buona legge sull’autodeterminazione e le direttive anticipate di trattamento che sembra spazzata via insieme a molte altre cose dall’emergenza covid.
Abbiamo case di riposo semi vuote, con anziani isolati dai loro cari, che si possono vedere solo attraverso un vetro e parlando con l’interfono (soluzione ottima e apprezzabile ma di cui beneficiano non molti pazienti, viste le condizioni della maggior parte dei ricoverati). Perchè non creare aree o strutture aperte all’esterno – pur con tutte le prudenze – e altre invece chiuse? Perchè non tornare a poter scegliere e valutare cosa per ciascuno conta di più? Perchè non sentirsi corresponsabili tra curanti, parenti, istituzioni e pazienti anzichè dividere i soggetti in buoni e cattivi o fragili e forti?

tre: la medicina territoriale meglio organizzata e gestita urge!
A volte, lo ammetto, pur fidandomi di chi ha in cura mia madre vorrei portarla a casa: ma è in una condizione in cui sarebbe davvero complicato gestirla. Lei mi ha sempre chiesto di non essere tenuta in vita con accanimenti (cosa che non sta accadendo), ha portato avanti scelte chiare fin dagli anni 80 con la nascita della Biocard, mi ha chiesto di garantirle una morte ben accompagnata quando fosse stato necessario sapendo che da anni lavoro nelle cure palliative. Insomma: avevamo cercato di definire tutto al meglio come raramente purtroppo capita in altre situazioni. Eppure…
Il mio timore ora è che se la lascio ricoverata rinuncio a lei e le chiedo di rinunciare ai sui affetti ma le garantisco accudimento ed una morte accompagnata (dai famaci se serviranno e spero dall’affetto) quando avverrà; oppure la dimetto, mi organizzo con una casa – che dovrei cercare – e con una o più persone che la accudiscano insieme a me, attrezzature varie necessarie, ma non sono certa di garantirle un buon accompagnamento medico se servisse vista la sua condizione…

Insomma. oggi va così e credo sempre più che una soluzione dobbiamo poterla trovare. Spero una soluzione per questi mesi che ci aspettano ma spero soprattutto per il futuro prossimo una maturità civile, sociale, istituzionale che in questi lunghi mesi non ho visto pressochè mai dimostrata.
Il tempo dell’emergenza era a marzo e aprile, questo è il tempo della convivenza col problema e siamo ancora a chiamarla emergenza come se non avessimo avuto mesi per cercare alternative e imparare a stare almeno un pochino di più nella complessità.
La complessità è faticosa, si sa…. ma credo sia davvero l’unica via possibile per ricominciare al meglio e con una visione del futuro desiderabile.