“SII LE MIE MANI, SII LA MIA VOCE, SII I MIEI OCCHI !”

Siamo stati strappati ai nostri riti quotidiani o settimanali che ci vedevano presenti e vicini alle persone ricoverate anziani, disabili, malati, di covid19 o di altro.
Soggetti fragili che abbiamo affidato alle cure di altri per i più svariati motivi.
Certo nessuno avrebbe creduto, nessuno avrebbe anzi immaginato, che questi “altri” ci sostituissero in tutto e per tutto, magari fino alla fine della vita dei nostri cari.
Non avremmo mai pensato di salutare un padre, una madre, un amico pensando che potesse essere l’ultima volta che lo facevamo e se ci è venuto, qualche volta, il pensiero sotterraneo che quello che ci stavamo dando poteva essere l’ultimo abbraccio, lo abbiamo cacciato come un pensiero intollerabile e assurdo.
Ma ora questa verità possibile, si rende tremendamente concreta.

L’ultima volta che la vide non sapeva che era
l’ultima volta che la vedeva.
Perchè?
Perchè queste cose non si sanno mai.
Allora non fu gentile quell’ultima volta?
Sì, ma non a sufficienza per l’eternità.
(Vivian Lamarque)

Struggimento, sensi di colpa, ruminazione. Smarrimento e paura.
Sono le sensazioni e le emozioni che molti mi esprimono in questi giorni, specie chi ha i propri cari ricoverati in qualche struttura e non può far loro visita, da tempo.
E non si sa per quanto ancora.
E sono anche le emozioni che prova chi fino a ieri era operatore non sanitario – come me – o volontario e in queste strutture portava sollievo.

E allora la FIDUCIA sarà il migliore e forse l’unico rimedio che abbiamo ora, per riuscire a stare in questa assenza che ci è imposta, nella presenza, nei congedi, nei riti quotidiani o legati all’addio.

FIDUCIA, SOSTEGNO E GRATITUDINE verso chi si occupa di chi ci è caro, per accettare umilmente che anche altri sapranno trovare un buon modo per accudire e confortare noi e i nostri cari. Non saremo sostituiti in tutto ma i nostri cari non saranno soli.

“Sii le mie mani, sii la mia voce, sii i miei occhi!”
Questo vorrei dire agli operatori che sono vicino a chi è ricoverato, sia in rsa, rsd, ospedale, ovunque.
Io spesso mi sono trovata nei panni degli operatori, presente per conto di altri quando era necessario e questa responsabilità e questo privilegio, chi fa certi lavori, cerca sempre di interpretarli al meglio.
Allora possiamo far crescere e far udire la fiducia in chi ha l’onere e l’onore di accudire i nostri cari, possiamo stare loro vicino in modo che restino disponibili in un momento delicato, possiamo coltivare COMPASSIONE per noi e le persone che soffrono creandoci riti e preghiere laiche o religiose, intime o condivise per vie virtuali, che ci facciano sentire interconnessi gli uni agli altri, come sempre siamo stati ma senza accorgercene, magari, o senza ammetterlo.
Possiamo trascendere il nostro io e accettare che altri, in modi e tempi diversi da quelli che avremmo voluto e immaginato, saranno la nostra mano, il nostro sguardo, la nostra voce.
Credo sia un esercizio difficilissimo, ma aiuta a sentirci un po’ meno necessari in un momento in cui, per altro, non possiamo essere presenti fisicamente.
Siamo relazione, siamo storie, siamo vicinanza, siamo interconnessi.
Ora è tempo di esserlo davvero, imparando nuovi modi per farlo e facendo i conti con il dolore della distanza lacerante che viviamo ma a cui NON LASCEREMO L’ULTIMA PAROLA.
Foto Monica Vinella