Non possiamo far finta di niente.

Qualcosa si è rotto, non solo interrotto.

Si è rotta l’illusione che fosse solo un’influenza, si è rotta la speranza che tutto sarà esattamente come prima, si è rotta l’illusione onnipotente che avevano in molti che “a noi non sarebbe mai successo niente”, si è rotta l’idea che era solo una lunga e inaspettata vacanza.

Facciamo fatica a concentrarci, a leggere, a scrivere. I ragazzi, poi, fanno scuola perché “bisogna tenere un po’ di normalità” ed è vero e va benissimo, serve, ma iniziano ad essere davvero inquieti, si sentono isolati, spaventati e sono preoccupati – pochi ormai non hanno notizie di persone malate o morte, specie qui in Lombardia –

Non c’è più una normalità che assomigli a quella di prima. Bisogna trovarne una nuova, simile per alcuni aspetti alla precedente ma differente, che attende la normalità che verrà ma che integra ciò che sta accadendo, così come dovrà integrare nel futuro prossimo ciò che sta emergendo su tanti piani della nostra vita soggettiva e collettiva, ecologica ed economica.

Altrimenti quel senso di contraddizione enorme che sentiamo e fingere che va tutto bene ma non è vero, si fa disagio, sofferenza eccessiva, rabbia e depressione.

Facciamo diversamente da così: diamo voce a queste parti sofferenti, prendiamocene cura tanto nei bambini e nei ragazzi quanto negli adulti, altrimenti anche ciò che va bene, ciò che continua e ciò che sarà nel tempo rischia di diventare la nostra ennesima farsa, la nostra ennesima maschera pesante o armatura rigida che ha un prezzo esistenziale e soprattutto emotivo enorme.

Io non voglio più questo per me – non l’ho mai voluto – e tanto meno per i miei figli e le nuove generazioni, perché tanto più loro dovranno ripartire da ciò che accade e da qui ricostruire il presente e il futuro. E noi dovremo aiutarli o almeno non ostacolarli nel farlo.

Impariamo a dirci le cose come stanno e noi come stiamo. Da lì si fa e si farà tutto il resto

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