Sui social circolano ormai tantissime frasi, aforismi, pillole di saggezza di ogni ordine e tipo, tanto che forse non ci facciamo neanche più caso, perché cadono nel banale anche se banali non sono. Abbiamo mercificato anche la saggezza millenaria. Ma se lì o altrove trovassimo la frase del filosofo Marco Aurelio che dice la felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri, ci fermeremmo a rifletterci  sopra anche solo per un attimo? E se qualcuno ci chiedesse cos’è per noi la felicità sapremmo rispondere subito, senza ombre di dubbi?

In un momento storico dove tanti sono preoccupati  per il presente o per il futuro, in cui molti si lamentano per le fatiche del vivere, proprio la filosofia, con il suo domandare, torna ad essere una reale possibilità di riflessione ampia e profonda sulla vita, può innescare un processo ai nostri pensieri, che influenzano inevitabilmente il giudizio che diamo sulla vita stessa e quindi anche la possibilità di dirci felici.

La filosofia nasce nell’antichità come stile di vita (cfr. R.Màdera), come maniera di vivere (cfr. P.Hadot ), come esercizio da compiere quotidianamente per giungere ad una trasformazione del proprio modo di vedere il mondo e se stessi. Nasce come intreccio fertile tra un discorso – che giustifica uno stile di vita –  e uno stile di vita-  che viene poi reso consapevole, processato e giustificato dal discorso.

Chiunque si interroghi sul senso del vivere, sulla bellezza, sul dolore, sulla felicità, sul destino, è filosofo e lo è ogni persona che getti uno “sguardo dall’alto” per vedere lo “stato in cui versa la propria anima” (Socrate),  il proprio mondo e il modo in cui lo abitiamo.

La nostra possibilità di dirci felici, si sa,  ha molto a che fare con le attese che abbiamo su noi stessi e sull’ esistenza: se la cerchiamo, se la attendiamo, se la pretendiamo, se la scorgiamo tra le piccole cose nonostante le fatiche del vivere, o se la possiamo dire tale solo in assenza di problemi.

Cos’è per me la felicità? Che vita vorrei? Che bilancio vorrei fare alla fine della vita stessa? (capisco che la domanda piaccia poco, ma credo sia quella che conta di più!). La felicità spesso ce la indica proprio chi tocca con mano la sofferenza e lì inizia o torna a chiedersi il senso del vivere, proprio quando la vita, come la conosceva prima, cambia radicalmente . Anche in questo i social ci fanno da lente di ingrandimento sul modo di vedere le cose: circolano infatti molte storie di persone che alla fine della vita o nell’esperienza di una malattia o di un lutto, ci indicano come dovremmo vivere e per cosa vale la pena vivere.

Piccoli esercizi concreti e semplici possono essere occasione e viatico per incominciare a praticare la cura di sé, a prendere la vita sul serio, a dare il giusto peso alle cose della vita, a ritrovare le corrette priorità nel quotidiano, a vivere con maggior leggerezza “che è planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” (cfr. Calvino).

Piccole occasioni che possono innescare  circoli virtuosi  perché la vita è bella, nonostante tutto e a volte basta davvero poco per accorgersene.