Spesso si era vista così, di spalle, con queste due figure accanto. Le aveva viste così spesso che avrebbe potuto descriverle, toccarle, parlargli. Sì, parlargli! Era da tempo che ci provava e lo faceva.

Non era una colpa e non era una scelta avere la tristezza di fianco, e la bambina soprattutto non ne pareva né turbata né spaventata. Era semplicemente un dato di fatto e forse non era una condizione che apparteneva solo a lei.

Apparteneva a molti, forse a tutte le persone della terra, semplicemente qualcuno lo vedeva e altri no, qualcuno lo accettava, altri no.

Lei per anni aveva accolto solo la tristezza, dimenticandosi della bambina che per fortuna era sempre venuta a ricordarle la sua allegria, la sua rabbia, la sua libertà, la sua creatività. Al punto che ad un certo momento lei aveva voluto stare solo con la bambina, intrattenersi con lei, accudirla, nutrirla, giocarci. Allora era stata la tristezza a farsi viva, meno densa e forte di prima, meno opaca, ma incapace di sparire.

Erano insieme, tutte e tre, era stupido combattere o scegliere con chi stare.

Aveva due mani? Poteva tenere stretta sia l’una che l’altra: dicevano entrambe qualcosa di lei, di chi era stata e di chi era diventata; le facevano sentire tutte le dimensioni della vita, la rendevano presente agli altri in maniera più ampia e armonica. Loro la rendevano viva, la rendevano lei. Finalmente poteva darsi pace, finalmente non doveva scegliere quale parte tagliarsi con dolore, finalmente era intera e soprattutto, al fine, era libera.

 

*frase di F.De Andrè in “L’infanzia di Maria”