La paura va educata perché serve a sentirsi, a sentire, ad attivarsi, a scegliere, a vivere e sapere cos’è la felicità, anche delle piccole cose.
Paura. Questa parola rimbalza continuamente tra testate giornalistiche, radio e tv, o social. Sentendola pronunciare evoca in noi allerta, angoscia, inquietudine, turbamento. Genera mostri e rende reali – nelle cronache – incubi che, forse da sempre, ci appartengono. Nell’etimologia della parola terrore c’è letteralmente il concetto di far tremare, muovere, agitare, sposare di qua e di là. Da qui deriva anche il verbo atterrire. Questo rimanda alla turbolenza interiore provocata dalla paura che nasce in noi sentendo notizie che si ripetono, che vengono riproposte e spesso amplificate – forse eccessivamente – nel corso dei giorni.
Di fronte al panico che la paura genera dovremmo provare a non lasciarci scuotere eccessivamente né farci paralizzare dalla paura e dall’insicurezza e cercare di capire solamente come difenderci, magari in maniera errata o altrettanto rischiosa. Se ci pensate i ponti, le torri, molte strutture costruite per reggere alla forti vibrazioni sono resistenti proprio perché capaci di oscillare, assecondando il movimento che le agita; altrimenti crollerebbero. Sono costruzioni armonicamente plastiche e mobili, pena la loro fine. Così dovremmo fare in modo che sia anche per noi: il terrore che ci scuote dovrebbe renderci vigili, mobili nel leggere ciò che accade, desti nel vedere cosa quel terrore ci mostra. Perché il terrore ci fa vedere in maniera concreta la possibilità che la nostra vita, come la conosciamo, cambi profondamente, anche nelle sue abitudini più radicate o abbia fine e diventi invalidata da paura e paralisi.