Quando osiamo fermarci e godere del dolce far niente abbiamo spesso l’impressione di sentirci a disagio, fuori luogo, quasi in colpa. Specie se le canoniche vacanze sono finite. Ci sembra che dovremmo o potremmo fare molte cose, approfittando del fatto di non avere cose da fare. E così non facciamo quel che dovremmo e non godiamo del tempo vuoto come vorremmo e come ci farebbe bene fare. Un bel ginepraio!
Siamo capaci di regalarci la pigrizia? Senza subito pensarla come atteggiamento sbagliato o socialmente denigrabile?
Roland Barthes – in una comparsa sulla rivista online Doppiozero – definisce la pigrizia: “Non far nulla. Guardare crescere l’erba. Lasciarsi scivolare nel corso del tempo”.
In latino piger significa lento ma c’è un aspetto negativo di questa lentezza della pigrizia che è quello di fare le cose controvoglia e per questo lentamente, di fare comunque tutto quel che c’è da fare, ma facendolo male, dovendo accontentare qualcuno che ci ha dato un compito ma contro la nostra volontà.
In greco invece pigro – argos – significa semplicemente “che non lavora”, quindi non ha in sé alcun giudizio sociale o morale. È una presa d’atto. È qualcuno che è fermo dal lavoro.
Allora la pigrizia può davvero essere un’ esperienza dolorosa della volontà, quel senso del dovere portato sempre avanti per non sentirci a disagio nei confronti dell’educazione ricevuta, quello sforzo che facciamo per ottemperare a qualcosa che non si vorrebbe dover fare e chi ci fa giudicare come pigri, perché dovremmo farlo e basta, senza sentirne né il peso né la fatica. Oppure dovremmo concederci di non farlo, almeno per ora, e godere davvero del tempo liberato dal dovere.
La pigrizia è la possibilità di avere delle parentesi libere dal devo per lasciare tempo al voglio e al sono, e basta. Proprio Barthes dice che la pigrizia può essere l’occasione e l’opportunità per un tempo di esperienza del NON FARE. E questo è l’ aspetto che mi interessa.
Il peso del dovere lo conosciamo fin dai tempi della scuola e ce la portiamo dietro da sempre. Devo fare, non ne ho voglia, farei altro, stare altrove … ma devo! Lottiamo quindi con noi stessi per fare le cose.
La pigrizia è socialmente poco accettata e individualmente difficile da reggere, per i più.
Ovviamente tra dover fare e pigrizia, ci vuole equilibrio, ma il guaio è che spesso le persone soffrono del “fare nulla”. Specie se la sosta è imposta dall’esterno, imposta e quasi ritualizzata come è, ad esempio, per la domenica, si chiama noia. È un tempo vuoto che non vorremmo. Allora la soluzione che troviamo è farne un tempo che si riempie con altre attività; ma allora si trasforma in un tempo del fare, di nuovo.
La pigrizia è anche diversa dalla vacanza, tempo in cui si fanno comunque attività varie, ma diverse da quelle del tempo ordinario del lavoro: la pigrizia merita di essere sperimentata e goduta, come esperienza e tempo del riposo, tempo del lasciare che le cose accadano senza il nostro intervento, come in questo detto Zen che Barthes cita:
Seduto pacificamente senza fare nulla
Viene la primavera
E l’erba cresce da sola
Un tempo in cui l’io, la volontà, il dovere, il controllo e la gestione attiva del tempo non esistono; in cui si lascia che le cose vadano avanti e accadano senza di noi; in cui non decidere nulla, in cui esserci e basta.
Abbiamo la libertà, almeno in alcuni momenti, di NON FARE NULLA? E ne abbiamo la capacità? Perché per qualcuno è una disposizione ma per altri può essere una conquista.
Auguriamoci con Rolande Barthes di avere ogni tanto, magari spesso, “un giorno FELICE perché è un giorno bianco, un giorno silenzioso in cui posso restare pigro, vale a dire libero”.
questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2019 su la 27 ora del Corriere della Sera