Cerchiamo prima di tutto di non cadere nell’ottimismo magico: pensate a quanti di noi hanno creduto che «sarebbe andato tutto bene» e che dopo la prima ondata di pandemia di Covid-
19 il mondo e la vita sarebbero cambiati in positivo, con più attenzione ai valori dell’esistenza e dell’ambiente, con ritmi e qualità di vita migliori. Ma lo abbiamo visto: la speranza non è sufficiente. Il passaggio fondamentale da compiere per ricominciare è farsi carico del cambiamento che si vuol vedere accadere.

La rinascita porta con sé una rinuncia, un piccolo o grande lutto, qualcosa o qualcuno da lasciar andare per ricominciare in un altro modo e non sempre siamo disposti a fare
i conti con la parte di noi che deve morire, con la fatica che ci impone. Dobbiamo concederci del tempo, stare in quello smarrimento e in quel dolore, guardarci intorno e lasciare che emergano la rabbia, la tristezza o la paura, affinché esprimendosi ci aiutino a individuare la direzione verso cui andare. Abbiamo diritto al lutto, al malessere, allo sconforto ma non dobbiamo fermarci lì. Allora quando ti viene da piangere, piangi. Quando hai voglia di gioire, gioisci e quando vuoi rischiare, rischia: componi ciò che apparentemente si contraddice, lascia che
la vita pulsi. Vivi. Ricominciare è anche questo. Non significa arrivare dritti e definitivamente ad una meta ma rimanere mobili, danzanti,  plastici, in un equilibrio sempre dinamico. Vuol dire accettare la complessità del vivere e il caos che precede ogni creazione, abitandoli come condizione sempre generativa e aperta a nuovi inizi.

Fortunatamente, ci dice Hannah Arendt, «possiamo fidarci della nostra suprema capacità di dare inizio a qualcosa di nuovo e di porci noi stessi come inizio».

Non ci piace sentirci impotenti, disarmati, spiazzati o impauriti, ma proprio per questo possiamo e sappiamo essere coraggiosi, creativi e vitali.
Recitare la parte di coloro che sono sempre perfetti e forti è faticoso: la vita è imperfetta, noi lo siamo. Allora tanto vale accettarlo e farne una risorsa, farne cioè la chiave delle nostre relazioni, della nostra apertura al mondo, della nostra capacità di avere cura di noi stessi e degli altri, della vita e della natura.
Se non riconosciamo la vulnerabilità dove c’è, non avremo cura di nulla e non ci meraviglieremo di niente: il vero miracolo è che, nonostante l’imperfezione e la fragilità,
la vita è potentissima e anche noi sappiamo esserlo.

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