Ognissanti e il giorno dedicato al culto dei morti possono diventare un’ottima occasione di meditazione per ciascuno di noi.

Un giorno della memoria personale

La festa di Ognissanti e il giorno dedicato alla memoria dei defunti ci consentono di vivere un giorno della memoria personale, biografico, familiare. Una bella e completa spiegazione del significato del rito lo lascio alle splendide parole di Camilleri che certamente vale per la Sicilia, ma con piccole variazioni sul tema è in uso – o era in uso fino a pochi decenni fa – in tutta Italia. Ciò che più mi interessa è che lo scrittore ci ricorda che tutto il rito di queste giornate appartiene a un’affettuosa consuetudine: Abbiamo “perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri”. Perdiamo il dialogo col passato, il senso di continuità con le nostre radici.

La porta che separa i vivi dai morti

Si dice che tra il 31 ottobre e l’1 novembre si apre la porta che separa i vivi dai morti e che in quella notte ci si possa rincontrare. I morti tornano a far visita ai vivi e i vivi attendono questo momento, ricco di doni, di significato, di ricordi ritrovati, di dialoghi interrotti. È un’occasione di incontro che consola e spaventa al tempo stesso, anche per la nostalgia che ancora provoca perché nessuno è mai pronto a un addio.

L’ultima volta che la vide non sapeva che era l’ultima volta che la vedeva.
Perché?
Perché queste cose non si sanno mai.
Allora non fu gentile quell’ultima volta?
Sì, ma non abbastanza per l’eternità.
Vivianne Lamarque (La signora dell’ultima volta) 

Un’ora in più

Quante volte vorremo avere un’altra possibilità, un’altra occasione: per ascoltare, per dire, per salutare. Il rito del 31 ottobre ci concede di ritrovarci, di scambiarci doni, di farci compagnia nel ricordo, riportando al cuore chi ci mancherà per sempre. Poi ognuno torna nel mondo cui è destinato ora: i vivi coi vivi, i morti con i morti. Perché ciascuno si dedichi alle attività che gli sono proprie e nessuno disturbi, con eco lontane, il mondo dell’altro.
Dopodiché i morti si vanno a trovare al cimitero, li si ricorda, li si commemora, li si celebra e in questo si festeggia il noi con loro. Avete visto il film “Volver” di Pedro Almodovar? I primi minuti sono una vera e propria festa di commemorazione e gioia che si celebra al cimitero.

Prendersi cura di sé nelle relazioni

Chi cura i morti si prende cura delle sue relazioni, delle sue radici, dei suoi ricordi.  E quindi si prende cura anche di  sé. Per non dimenticare , per sapere chi siamo e da dove veniamo. È quindi la festa dei legami: abbiamo l’autorizzazione sociale e comunitariamente condivisa di ritrovare un contatto, di rimetterci in comunicazione con i defunti, in un mondo dove invece la morte resta un tabù e di riti siamo sempre più orfani. È la festa che ci permette, in maniera rituale e quindi protetta e quasi magica, di aprirci a un oltre che nutre e circonda il nostro mondo. Ci concede di bere un té con i morti, con chi è scappato via nel sacro, come recita la poetessa Livia Chandra Candiani.

Un esercizio per te

Se i nostri cari defunti venissero qui, stanotte, e ci celebrassimo a vicenda (Ognissanti è la festa di tutti!) cosa ci diremmo? Cosa ci scambieremmo? Che raccomandazioni ci farebbero, loro che sono già oltre? Che cosa ci chiederebbero di ricordare di loro? Cosa ci inviterebbero a commemorare, facendolo al posto loro che non possono più farlo? Ci insegnerebbero a vivere? Ci aiuterebbero a capire il senso della vita? Cosa mancherà loro di questa vita terrena, che noi magari neanche ci accorgiamo di avere? Un memento mori affettuoso, un memento vivere sperimentato con i propri cari, che ci danno un lascito spirituale. Magari ci chiederanno come va da queste parti, visto che molti di loro sono morti per la nostra libertà e i nostri diritti. Noi, cosa gli diremmo? A questo proposito ascoltate questa simpatica canzone di Simone Cristicchi, specie al minuto 2’10”.

Pubblicato il 31 ottobre 2016 per il blog di Dontshare.