Per me la spiritualità è da sempre una necessità, un’esperienza, una condivisione, un parto continuo (meglio forse sarebbe dire “un processo”), un rifugio rigenerante e protettivo e da qualche anno (una decina almeno) è pratica di lavoro e terreno per la cura.

Una necessità: da che ho memoria mi faccio molte domande sull’esistenza, cerco di comprendere ciò che sento e ciò che vivo, mi tuffo senza sconti nei meandri della mia e altrui anima uscendone a volte impaurita, altre affaticata ma molto più spesso affascinata e illuminata. La malinconia fa parte di me: so che la vita è vulnerabile e conosco il dolore mio e altrui. Questo mi rattrista ma mi ha sempre fatto credere nella potenza e nella meraviglia della vita stessa, nella plasticità e ampiezza dell’anima umana e nel suo bisogno di avere una direzione per reggere la ricerca che la mia anima continua a compiere e l’assenza di risposte a cui spesso l’indagine esistenziale porta. So che bisogna anche tollerare il vuoto, il mistero, l’apparente non senso, l’attesa di emersione di un nuovo senso possibile, il dolore… ma so che non potrei fare altrimenti che restare in ricerca e solo questo so indicare alle persone che accosto

Un’esperienza. Per me la spiritualità non è sulla carta o nella mente, certo è anche lì: ho approfondito testi, ho avuto libri per maestri e maestri in carne ed ossa che mi hanno invitato a trovare la mia via di senso e il mio stile di vita che la traducesse in pratica. Ma prima di tutto è una pratica e i grandi passaggi di risveglio e rinascita li ho avuti nel corso di esercizi spirituali, esperienze fuori dal quotidiano, occasioni di contemplazione che mi hanno attraversato corpo e anima, modificando e reinterrogando poi il mio pensiero. E così ho cercato nuovi testi, domandato ai maestri, cercato a volte nuove vie.
Queste esperienze sono state spesso accompagnate da forti emozioni, da spiazzamento, da lacrime di dolore e di gioia: le emozioni più diverse hanno sempre fatto parte delle mie esperienze spirituali e mistiche: meraviglia, sofferenza e commozione sono sempre derivata dal sentire di poter accogliere tutto senza dover scegliere o giudicare.

Una condivisione. Raramente la spiritualità l’ho praticata o affrontata da sola: quest’ultima modalità è più il frutto dell’età adulta e comunque non è mai l’unica maniera di viverla. È sempre cresciuta in contesti in cui mi sentivo appartenere, in cui mi riconoscevo in un orientamento di senso e di pratiche di cura, in cui potevo condividere dubbi, lacerazioni o felicità profonde senza sentirmi sbagliata o fuori luogo. Luoghi abitati da esercizi, cripte laiche o religiose in cui praticare insieme ad altri la ricerca incessante di senso del vivere, in cui ridistribuire pesi e priorità, in cui condividere visioni e azioni concrete per realizzarle.

Un parto continuo. Questo mio processo non è mai finito, dura da sempre e credo durerà per sempre. e lo definisco un parto perchè ogni volta è come se rinascessi, ritornassi al mondo rinnovata. é un processo che cambia con il cambiare della mia fase di vita, delle mie condizioni quotidiane, del mio lavoro, di ciò che mi accade intorno. È una continua ricerca di un centro e negli anni è diventato sempre più  imparare a tornare a casa ogni volta che mi perdo ma anche quando non mi perdo. È sapere che a casa c’è il nutrimento e la sorgente dell’anima senza la quale soffoco, soffro, mi perdo e arranco. È tornare a casa perché ti sei mancata e ora ti ritrovi volentieri, perché ti accetti di più così come sei, con le tue contraddizioni e fragilità.

Un rifugio rigenerante e protettivo. Proprio grazie al fatto che ora ho la mia casa interiore, sempre più so dove e come trovare pace e conforto, so dove rannicchiarmi con fiducia e attendere che la mia anima ritrovi la strada, so quali pratiche mi aiutano anche nei momenti in cui mi paiono difficili o inutili. So riconoscere meglio quali contesti, persone, libri leniscono le mie ferite quando mi vengono inferte. La spiritualità ha portato con sé la fiducia, a vote ancora vacillante, ma mai assente.

E da qualche anno (una decina almeno) la spiritualità è pratica di lavoro e terreno per la cura. La mia ricerca e lo stile di vita che si è generato, mi ha portata a scegliere e costruire una professione in cui la cura della dimensione esistenziale e la ricerca di senso che caratterizza gli esseri umani, prima fra tutte me, diventi terreno di dialogo, supporto, conforto, pacificazione possibile anche nei momenti in cui la vita chiama in modo forte perché lacerata dalla malattia, dalle crisi profonde, dal lutto. Non offro mai risposte, accolgo ciò che arriva, compresa rabbia, smarrimento, tristezza e propongo di non essere soli nella ricerca e nella cura di sé, propongo terreni di libertà in cui ricostruire la vita, perché questo a me è stato offerto e questo mi ha lasciata libera, mi ha reso responsabile e mi tiene viva.

E questo auguro a ciascuno di noi, da soli e insieme.