Il 13 dicembre è S. Lucia, “il giorno più corto che ci sia”. A qualcuno porta i regali e a tutti vuole ricordare che la luce va festeggiata. Perché la luce è vita, il sole è vita, e venire alla luce è nascere. Nel periodo successivo a S. Lucia le giornate iniziano ad allungarsi, il massimo tempo di buio che può costituire una giornata è stato toccato: ora finalmente la luce aumenterà il suo vantaggio sul buio.
Ce l’abbiamo fatta!

Abbiamo affrontato la riduzione della luce – il periodo in cui il buio aumenta e governa maggiormente il nostro tempo – mantenendo la certezza e la fiducia che la luce sarebbe ritornata ad aumentare. Tutto questo, che accade in maniera naturale nel ciclo dell’anno solare, ci invita ad accogliere e festeggiare la luce nella nostra esistenza, a non darla per scontata, a festeggiarla nella sua vittoria sull’ oscurità.

La luce è sempre da cercare nel buio dell’anima quando si presenta, va sempre individuata e quando la si ritrova non va persa di vista. Quando ci viene detto – o noi stesse diciamo a qualcuno –  “sei luminosa” è come se dicessimo che la nostra anima si sta rivelando nel suo benessere, è come se venisse alla luce nel viso, nello sguardo, nel modo di stare al mondo. Allora significa che la luce interiore è stata trovata, brilla vivacemente e si mostra, si rivela, si rende visibile, magari anche perché possa essere data ad altri per contagio vitale.

Quando si fa più fioca o incerta ci accorgiamo, anche con timore, che la luce va protetta, custodita, magari in una lanterna che la protegga dal forte vento o dalla pioggia che potrebbe spegnerla. Da sempre sappiamo anche che il focolare ha bisogno del suo custode, affinché il fuoco, che garantisce la vita non si spenga mai. La luce della fiamma è effimera, fragile e richiede cura paziente e costante.

La luce guida, ispira, dà una direzione, rende più semplice il viaggio – non a caso la vista è un senso a cui diamo più importanza che ad altri e S. Lucia è anche la protettrice della vista, lo sapevate?
Inoltre quando si raggiunge la conoscenza, di sé, di cose importanti per la vita, si approda a una evoluzione interiore e spirituale dell’esistenza, si dice comunemente che si è avuta un’Illuminazione, ci si è aperti ad una ulteriore conoscenza. Ricevere la luce corrisponde proprio ad essere ammessi all’iniziazione di una nuova vita spirituale.

A cosa siamo stati iniziati? A cosa vorremmo esserlo? Come ci riconnettiamo a noi stessi perché avvenga?

Il Mito della caverna narrato da Platone nel libro VII de La Repubblica, ci dice dell’impulso vitale del filosofo – che possiamo essere noi tutti – di trovare e ritrovare sempre il desiderio e il coraggio, quando siamo incatenati in una caverna profonda e scivolosa, di uscire alla luce, di liberarsi dalle catene, di non errare nell’oscurità ma di cercare con sapienza di tornare a vivere nella luce, anche rischiando di sbagliare e di dover ricominciare più e più volte. Come ci narra il mito, ci si accontenta spesso di ombre che nascono da luci lontani, ci si accontenta di luci riflesse senza andare mai a cercarne la fonte o a cercare altro da ciò che in quel momento crediamo sia l’unica realtà possibile.

L’invito filosofico è invece quello di cercare sempre un altro mondo possibile o almeno un altro modo possibile di stare in quel mondo. Cercare la felicità è un dovere esistenziale per ciascuno, anche quando pare sparita: proprio lì c’è la necessità di cercarla, anche a tentoni nel buio, senza lasciarsi paralizzare dalla paura di ciò che potremmo trovare nel buio.

Non dovremmo rassegnarci mai ad essere condannati all’oscurità.

Ogni volta che torniamo alla luce, per quanto la luce paia piccola e delicata, avviene in noi e per noi una rinascita, ed ogni volta è un nuovo inizio.