Siamo capaci di regalarci la pigrizia? Senza subito pensarla come atteggiamento sbagliato o socialmente denigrabile? 

Dolce far nulla

Quando osiamo fermarci e godere del dolce far niente abbiamo spesso l’impressione di sentirci a disagio, fuori luogo, quasi in colpa. Specie se le canoniche vacanze sono finite. Ci sembra che dovremmo o potremmo fare molte cose, approfittando del fatto di non avere cose da fare. E così non facciamo quel che dovremmo e non godiamo del tempo vuoto come vorremmo e come ci farebbe bene fare. Un bel ginepraio!

Roland Barthes – in una intervista del 1979 riproposta in questi giorni dalla rivista online Doppiozero – definisce la pigrizia: «Non far nulla. Guardare crescere l’erba. Lasciarsi scivolare nel corso del tempo».

Controvoglia per senso del dovere? Meglio fermarsi

In latino piger significa lento; ma c’è un aspetto negativo di questa lentezza della pigrizia che è quello di fare le cose controvoglia e per questo lentamente, di fare comunque tutto quel che c’è da fare, ma facendolo male, dovendo accontentare qualcuno che ci ha dato un compito ma contro la nostra volontà. In greco invece pigro – argos – significa semplicemente «che non lavora», quindi non ha in sé alcun giudizio sociale o morale. È una presa d’atto. È qualcuno che è fermo dal lavoro. Allora la pigrizia può davvero essere un’esperienza dolorosa della volontà, quel senso del dovere portato sempre avanti per non sentirci a disagio nei confronti dell’educazione ricevuta, quello sforzo che facciamo per ottemperare a qualcosa che non si vorrebbe dover fare e chi ci fa giudicare come pigri, perché dovremmo farlo e basta, senza sentirne né il peso né la fatica. Oppure dovremmo concederci di non farlo, almeno per ora, e godere davvero del tempo liberato dal dovere.

Continua a leggere l’articolo