Nel film Truman – un vero amico è per sempre – 2015 regia C.Gay – Julian dice all’amico Tomas di aver imparato da lui alcune cose, tra cui la pazienza – se non erro. E poi gli chiede “tu cos’hai ricevuto da me?”

Questa stessa domanda Marco Aurelio se la pone quando apre la scrittura dei “pensieri” dove elenca un’ importante lista di persone che egli riconosce abbiano lasciato molte tracce in lui.

“Da mio nonno Vero il carattere buono e non irascibile, […]Da Diogneto: l’indifferenza per ciò che è vacuo, […]Da Rustico: aver capito la necessità di correggere e curare il carattere, […]Da Alessandro il Platonico: parlando o scrivendo una lettera a qualcuno, non dire spesso e senza una ragione stringente «non ho tempo», e non declinare continuamente, in questo modo, i nostri doveri nelle relazioni con chi ci vive accanto, col pretesto degli impegni che ci assediano. Da Catulo: non trascurare un amico che ci accusa di qualcosa, anche se capita che ci accusi senza ragione, ma cercare di riportarlo al suo rapporto consueto con noi; parlar bene, di cuore, dei propri maestri, come insegna quello che si racconta di Domizio e Atenodoto; l’amore autentico per i figli. Da Severo: l’amore per la famiglia, l’amore per la verità, l’amore per la giustizia, […]”

L’elenco è lunghissimo e certamente non sarà del tutto esaustivo.

Sarebbe interessante provare a fare questo esercizio e conoscere noi stessi ripercorrendo la mappa dei rapporti e delle persone che ci hanno costituito: ne uscirebbe una mappa di incontri, relazioni, rapporti, cui dobbiamo ciò che siamo. La vita offre e impone molte eredità.

E sicuramente l’esercizio è interessante perché apre alla possibilità e alla responsabilità di chiedersi “io cosa lascio agli altri? Che traccia vorrei lasciare?”

Noi siamo i nostri legami: nasciamo grazie ad una relazione, veniamo accolti in un legame, tutta la vita è fatta dalla creazione e dallo scioglimento attivo o subito di molti legami, e ognuno di questi ci costituisce, ci segna, ci struttura, e fa di noi ciò che siamo oggi.

Noi siamo una molteplicità e dobbiamo riconoscere ciò che ci costituisce anche con gratitudine e riconoscenza.

“Il punto centrale consiste nell’avere una visione critica del concetto di “individuo”. Per me un individuo non ha legami, ma è fatto di legami. […]. Io la chiamo “geografia interiore“, perché ciascuno di noi è tessuto di questi legami, nessuno possiede legami, diciamo così, opzionali. La posizione situazionale e fenomenologica parte dal fatto che dobbiamo assumere una realtà che non abbiamo scelto per niente, di cui siamo responsabili nostro malgrado. Dobbiamo uscire dall’illusione, sempre negativa, di esistere – lo disse Spinoza – come un impero dentro l’impero, ovvero di essere altro dalla situazione a cui apparteniamo, di esserne separati e distinti. […] E la società capitalista, occidentale, ha prodotto l’illusione che ciascun io esista come protagonista assoluto (ab-soluto: sciolto dalle relazioni con gli altri), figura principale di un film che si svolge nella sua testa, privo dei legami della situazione al punto da percepirsi autonomo e isolato. I legami di cui parliamo nell’ottica situazionale, fra l’altro, non riguardano solo i rapporti con gli altri umani, ma con l’intero ecosistema che si esprime, comunque, sempre in determinate situazioni concrete”[1].

Essere, allora, è essere in relazione ed è anche prendersi cura degli oggetti e aver cura di sé e delle persone,  per progettare il proprio essere, come direbbe Heidegger  e per salvarsi a vicenda e  coesistere al meglio,.

Di conseguenza non solo siamo i nostri legami ma siamo interdipendenti, gli uni dagli altri e ognuno dal mondo e dalla natura: non a caso interdipendenza è il concetto chiave per l’economia, per l’ecologia, e credo anche per la felicità. E forse dovremmo rendercene conto molto più spesso.

Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2016

[1] “Noi siamo i nostri legami” Tratto dall’ intervista a Miguel Benasayag -filosofo e psicoanalista argentino, autore, fra gli altri, del testo “L’epoca delle passioni tristi”, scritto con Gérard Schmit (Feltrinelli, 2004) – a cura di Paolo Bartolini (Analista ad orientamento filosofico – Abof – )per  Megachip.info (29 marzo 2016)