Da queste profonde ferite, usciranno farfalle libere

(A.Merini)

Mi colpisce spesso la nostra immediata disponibilità ad esaltare e ad onorare  chi sa essere saggio,forte, lucido e spirituale di fronte alla malattia e alla morte.  Mi sorprende anche quanto spesso amiamo  film o  libri dove la malattia e la morte sono ciò che rende più  profonde le relazioni umane e più sagge le persone.

Ma altrettanto, e per converso, mi colpisce quanto siamo analfabeti e spaventati nel parlare di questi argomenti quando ci riguardano in prima persona, anche solo come ipotesi futura.

Quando arriva in televisione una persona come Ezio Bosso, che non tace la sua malattia di cui porta le tracce sul corpo e che mostra con coraggio sul palco di San Remo, perché vuole continuare ad esprimersi e ad esistere anche come artista e non solo come malato;  o quando muoiono personaggi come David Bowie o Umberto Eco e si cercano non solo le tracce di una vita e di una professione, ma se ne esaltano le capacità e la forza nel morire accorgendosene, preparandosi alla morte, lasciando testamenti spirituali  e parole di conforto per coloro che gli sopravviveranno, è come se sentissimo che lì c’è qualcosa di importante che ci riguarda nel profondo.

Questa è la verità che li rende un po’ eroi ai nostri occhi, e che ce li fa guardare con ammirazione  e  anche come esempi di una umanità possibile, per ciascuno di noi, perché queste sono le storie che ci fanno pensare e credere – perché di credere in questo abbiamo bisogno – che ce la possiamo fare, che anche la paura più grande non vince su tutto. Che è possibile non farsi paralizzare dal terrore o dalla fatica e che si può essere forti. Forti perché incrollabili? No! Forti perché si accetta la propria fragilità e il proprio limite. E dicendo sì al limite, che è un sì profondo alla vita, come direbbe Nietzsche, si dice sì alla vita che a quel punto diventa davvero libera, sveglia, piena e vigorosa.

Proprio Ezio Bosso ha detto una grande verità: noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle. Persone come lui, che affrontano con dignità e lucidità la verità della vita,  la malattia e il morire e non le nascondono né a se stesse né agli altri, ci invitano a non dare nulla per scontato, ci aiutano a vedere quanto vale la pena vivere. Ci mostrano come il dolore spesso distilla ciò che conta nell’esistenza e ci invitano a impegnarci a comprendere questa verità senza dover per forza  passare dalla sofferenza estrema.

Essi ci mostrano, o ci hanno mostrato, che si può vivere nonostante la fatica, il dolore, la paura della morte che si fa presente nella vita. Che ci si può e ci si deve preparare a morire e che questo, in verità, significa prepararsi alla vita e vivere fino alla fine, senza lasciarsi sopraffare dagli eventi e lasciarsi bloccare nelle possibilità esistenziali che ancora ci sono. Questo riguarda tutti, riguarda l’umano.

E noi guardiamo a questi eroi, dalla nostra finestra,per imparare qualcosa: forse prima di tutto a sperare di poter essere così anche noi, se ci toccasse qualcosa di simile.

L’alternativa, altrimenti, è spesso quella di vivere spaventati e di negarsi le possibilità che la vita, nonostante tutto, sempre ci lascia. Che a volte sono possibilità reali, a volte sono sguardi differenti sulla vita stessa, …

A noi stare come funamboli in questa oscillazione tra paura e speranza, sogno e realtà, limite e opportunità. Restare perseveranti, che significa persistere senza interruzione, durare con costanza. Non smettere, non spegnersi,  non demordere – che è morire prima del tempo- rialzarsi sempre  e mantenersi fermi nei propositi.  Allora diamoci il proposito di vivere, vivere fino in fondo e fino alla fine.

 

 Ignoriamo la verità per paura di ritrovarci completamente vivi
M.Gramellini , Fai bei sogni

Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2016 sul blog la 27 ora del Corriere della Sera