La felicità ha sempre a che fare con l’accettazione di sé. È un passaggio cruciale che occorre fare più volte nel corso della vita, armonizzando interno ed esterno, chi siamo e chi vorremmo essere, il corpo con il pensiero, il sogno con la realtà.
Accettazione di sé e del proprio corpo
Il corpo-macchina: quello degli atleti, costruito pezzo su pezzo per spingere al massimo, andare oltre i limiti. Oppure il corpo-progetto: da non prendere come viene, ma frutto di trasformazione, abbellimento, riconoscimento per mostrare «la versione di noi stessi che preferiamo, con un’implicita presa di distanza da quello che siamo e non vogliamo essere», per usare le parole della psicanalista Alessandra Lemma. E poi il corpo-corazza: quello di una generazione di 30/40enni che si racconta attraverso un fisico forte, efficiente, scelto e scolpito («non siamo da abbraccio. Certi corpi alteri sono come una corazza», le parole dell’ex miss Martina Colombari). E ancora: corpi mortificati dalle istituzioni educative, da immobilizzare perché la precedenza va data alla mente e al pensiero. Corpi frutto del controllo, della disciplina, della rinuncia, del sacrificio in nome di qualcosa che si pensa desiderabile.
Una vita più armonica
«Nel corpo c’è perfetta identità tra essere e apparire, accettare questa identità è la prima condizione dell’equilibrio», riflette Umberto Galimberti in Il corpo (Feltrinelli). Ma cosa bisogna fare per cambiare lo sguardo condizionato che abbiamo sulla nostra forma fisica per evitare di farne un problema e farne, invece, un’occasione di vita più armonica, leggera? Come possiamo fare pace con un corpo vivente, vitale, responsabile di sé, che abita il tempo e lo spazio e che non può essere negato o ignorato? Come giungere all’accettazione di sé?
Osiamo di più
Tirare fuori la vitalità del corpo e della mente, essere creativi, osare: è lì che sta la felicità». Gribaudi tiene laboratori con over sessanta che lavorano sul proprio corpo riconoscendogli valore, corpi che si muovono, si mostrano, hanno una storia e hanno il diritto di esistere. Che sono liberi e per questo felici. Scrive Rossana Rossanda in Questo corpo che mi abita (Bollati Boringhieri): «Ho un bel leggere qualcuna: “Non seccatemi, sono felice del mio corpo”. Guardo Claudia Schiffer e mi dico: chissà come vive questa, tutta perfettamente dentro di sé. Mi toglierei volentieri un poco di pancia, poi me ne scordo, chissà se si può, ma è certo che mi confronto con una forma che è ben chiara e rispetto alla quale qui manca qualcosa, là ce n’è troppo». È felice Rossanda con il suo corpo, «il vestito nel quale sono inesorabilmente infilata»? Un indizio per trovare la risposta sta in quel «poi me ne scordo»: la perfezione delle sculture greche incanta, ma c’è la vita che preme, c’è da mettersi in gioco dentro le relazioni, c’è la curiosità verso il mondo che si vuole conoscere e cambiare e il corpo diventa lo strumento con cui attraversare tutto questo, la vitalità ha la meglio sui difetti.