La sofferenza esistenziale chiede accudimento, chiede contenimento, chiede vicinanza e relazione.
Forse la questione è che tutti chiediamo ascolto e nessuno riesce a darlo: chi dovrebbe ascoltarci e smorzare le angosce, darci fonti di rigenerazioni e indicarci fonti di ispirazione ci getta addosso la sua disperazione e così ce la amplifichiamo a vicenda.
Abbiamo bisogno di essere per gli altri e di trovare per noi persone che, almeno per un po’ pensino a cosa non dire, meditino su cosa dire, accolgano e non giudichino, sappiano stare nell’ambivalenza delle emozioni e dei vissuti. Sappiano continuare a nutrire e cercare ciò che scalda l’anima e la lascia libera di cercare fonti di rigenerazioni e conforto, senza dare voce solo allo sconforto e all’angoscia.
Serve una competenza umana, emotiva, spirituale. Serve uno di stile di vita e relazione, una cura di sé che permetta tutto questo, perché dobbiamo ritrovare questa capacità, generarla per altri, condividerla: ne va della nostra vita, della nostra quiete e felicità, delle nostre relazioni e della nostra capacità etica. E a volte non bastano o addirittura non servono le parole già troppo consumate: serve l’arte, la poesia, la natura, la bellezza, le immagini e il corpo per rinascere e ritrovare il flusso dell’esistenza che si è inceppato.
Per lavoro ascolto le persone in difficoltà e da poco sono stata paragonata ad una boa: in un momento in cui a questa persona sembrava di affogare ha sentito che io ero un approdo sicuro dove appoggiarsi, per respirare, per guardarsi intorno e ritrovare la direzione al suo muoversi, per non agitarsi in maniera convulsa, senza punti di riferimento, disorientata, frammentata, caotica e per questo stancante e generatrice di ulteriore ansia.
è normale – tanto più ora – sentirsi così. Il malessere oggi è dato dalla fatica, dall’incertezza, dalla paura certo, spessissimo amplificate dalla solitudine e dal timore di ammettere o condividere la propria fragilità, la propria condizione di spaesamento e la propria sensazione di impotenza. Più ci sentiamo così e più ci isoliamo, ci rifugiamo “a cuccia”. Ma attenzione! Questo peggiora le cose, amplifica nella nostra testa ciò che già ci sconquassa.
Un approdo, un riposo, un supporto temporaneo ma accogliente e disponibile mentre il mare è in tempesta. Un punto di riferimento necessario nel corso del tempo in cui costruirà una zattera, attenderà differenti soccorsi, tornerà ad avere il piacere del nuoto avendo certezza che la riva non è poi così lontana. Anche se non è la stessa sponda che ha lasciato.
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