Alla luce di due Natali passati con le restrizioni e le paure della pandemia, abbiamo forse più chiaro – o possiamo approfittarne per chiarircelo- cosa conta per noi in questa magica festa che magari abbiamo sempre vissuto con insofferenza per le lunghe tavolate piene di chiacchiere poco interessanti e superficiali, o idealizzandola come se dovesse essere la scena perfetta di un film meraviglioso – per rimanere poi delusi perché la realtà è molto più complicata dei film – o ancora arrivandoci esauste come se dovessimo vincere una gara di performance d’alta cucina e galateo alla Bree di Desperate HouseWifes.

Il Covid-19 ha sospeso temporaneamente questo rito sociale e in questo spiazzamento ce lo ha illuminato. Perché uscire dall’abitudine fa proprio questo: ci toglie dal cerchio ristretto e un po’ anestetizzato in cui viviamo le cose e finalmente le possiamo guardar da fuori, le vediamo finalmente dall’alto – direbbero i filosofi antichi. E può iniziare così, ancora una volta, una ricerca e una ricostruzione del senso di ciò che viviamo e di ciò che facciamo.

Natale quest’anno ci concede più che mai l’occasione per rinnovare un rito che nutre e rinsalda i legami, ridandogli vigore e spessore: è la festa della vita nuova, è la festa della luce che dissipa le tenebre, è la festa degli affetti che si ritrovano intorno a tutto ciò che è essenziale per viver bene, a volte minuscolo e per questo fragile e potente, da accogliere e di cui prendersi cura anche alla luce del nuovo anno che presto si affaccerà. È la festa dei raccolti dopo il duro lavoro, grazie ai quali sopravvivremo all’inverno in attesa della nuova primavera. E questa volta siamo pronti a vederla nella sua importanza e a riscrivere la vecchia partitura, arricchendola di significato, proprio grazie al fatto che è uscita dal fascio nebbioso dell’ovvietà. Come nel sogno del Sig. Scrooge possiamo vedere le cose da un’altra prospettiva e possiamo apportare quelle modifiche di cui ora sentiamo la necessità e vediamo la bellezza.

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