L’Economist non ha dubbi: la felicità è diventata un indicatore importante come il Pil. Ma dove va cercata, dentro o fuori di noi? Ecco alcune risposte.

È la quieta tranquillità dell’animo che descrive Seneca, ma è anche la gioia di cui parla Eugenio Borgna (citando Rilke: «La felicità ha il suo contrario nell’infelicità, la gioia non ha contrario, per questo è il più puro dei sentimenti»), è il frutto della virtù, come dicevano gli antichi. «Aggiungerò che è essenziale il fatto di avere coscienza della propria felicità per stare bene», scrive Frédéric Lenoir in «Felicità, un viaggio filosofico» (Bompiani). Anche perché è un concetto che cambia: la pozione «per sempre felici e contenti », che l’orco verde Shrek cerca di conquistare, non esiste né può esistere perché il problema è che la gioia dialoga continuamente con tutto quello che muta attorno e dentro di noi.

«Come fa ognuno di noi a scegliere in che cosa credere? L’offerta, di questi tempi, è ampia, molto più ampia che in passato», ha raccontato Paolo Giordano anticipando i temi del suo prossimo romanzo. Un’idea in cui credere: anche questo ha a che fare (e molto) con la felicità. Significa imparare a scegliere, a darsi priorità, a rinunciare a qualcosa per avere altro. Perché la felicità non è un obbligo — che fa sentire colpevole chi non la raggiunge — ma una possibilità di vita. Che tipo di gioia vogliamo e, soprattutto, cosa siamo disposti a fare per ottenerla? E ancora: da soli o con gli altri? Tutti — chi più chi meno — crediamo al mito dell’autorealizzazione: gioia come viaggio di scoperta di sé, piuttosto che impegno nel mondo; felicità che sottolinea l’indipendenza emotiva piuttosto che l’interdipendenza.

Sul Corriere della Sera di Sabato 30 dicembre 2017 parliamo di felicità che sarà l’argomento anche per l’edizione 2018 del “Tempo delle Donne” de La 27esima Ora del corriere.it. dove approfondiremo il tema con inchieste, eventi e articoli.

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